La mia generazione

La mia generazione, grazie a Dio, non ha fatto le due guerre mondiali, come i nonni, nè la seconda guerra mondiale come i genitori. Però con mio marito abbiamo fatto un rapido conto ieri sera. Noi nati negli anni ’60, in pieno boom economico, quando sapevi che lavorando ti pagavi non solo il mutuo della casa, ma anche tutto il resto, e senza rate, abbiamo passato in sequenza: l’aumento delle tasse nel ’93, il passaggio all’euro, la crisi economica del 2008, che è stata la terza guerra mondiale in un certo senso, anche se nessuno lo dice, la prima ondata Covid e ora la seconda ondata. Non male, anche se c’è stato di peggio.

A questo punto per resistere io invoco Crozza e Zerocalcare, che sono stati capaci di farmi sorridere durante il lock down, e, soprattutto, Battiato. Maestro, ho bisogno delle sue parole, sul ponte sventola bandiera bianca.

Una scena bellissima (il caso non esiste)

Nella mia città, o forse, più in generale, nelle città, ci sono i Raccoglitori, coloro che vivono di quel che trovano nei cassonetti. Indifferenti, sorridenti e cortesi, hanno un loro stile, almeno in questa zona: una donna sulla cinquantina, abbronzata come una sciatrice, sfoggia zaini e tute davvero carine, tanto che solo guardandole le mani si capisce la sua attività; il ragazzo ungherese che parla da solo e indossa sempre giubbotti col cappuccio, anche d’estate, declinando con fermezza e gentilezza ogni offerta di magliette a maniche corte.

Ieri pomeriggio ero con Kate, la mia cagnolina, in una via un po’ defilata rispetto alla principale. Un uomo anziano, dritto e dal bel viso, con indosso giacca e pantaloni lisi e un cappello a larghe tese, si avvicinato al cassonetto della spazzatura e ha iniziato a mangiare qualcosa che prendeva dall’interno, con calma e signorilità, come se spilluzzicasse patatine al tavolo di un bar elegante.

E’ stata una pugnalata. In un lampo ho pensato di dargli dei soldi e subito dopo con dispiacere ho realizzato che ero uscita senza borsa e quindi senza portafoglio, come sempre quando esco col cane. Ebbene, proprio allora, un’automobile ha inchiodato e la ragazza che guidava è scesa, si è avvicinata all’uomo, gli ha detto qualcosa, che non ho udito a causa della distanza, e gli ha messo in mano una banconota. L’uomo sembrava confuso e si è allontanato lento, come se passeggiasse con una bella signora.

Strascichi ( o prosecuzione) del Coronavirus

Sull’autobus, con la Fpp2 che indossavo dal mattino presto e che aveva ormai disseccato le mucose di naso e bocca, sono stata costretta a vedere la seguente scena. Un tizio, con non una mascherina, ma una specie di casco tipo Guardie dell’Impero di Guerre Stellari, ha iniziato a sgridare tutti coloro che avevano la mascherina abbassata sul naso; quindi ha preso a fotografarli urlando che avrebbe inviato le immagini alla Procura della Repubblica. I tizi interpellati si sono slanciati ruggendo su di lui e ne è nata una rissa, infine sedata per l’intervento di qualche persona di buon cuore, alla quale il conducente aveva assistito indifferente con rimbrotti bonari e generici. E’ ogni giorno così, mi ha detto, è peggio del virus.

Ho continuato a piedi. E continuerò a farlo.

Sicilian fusion, 2

Dietro le bancarelle del mercato che vendono vestiti, un giovane pakistano dal viso triste fa orli e riparazioni a 3 euro, circondato da anziani locali che, con le mani incrociate sul bastone, commentano il lavoro svolto. Davanti al pakistano, una ragazza cinese prova l’abito appena finito, in mezzo a due bambini dalla pelle nera che giocano a palla. Più avanti, un suonatore di fisarmonica attacca la musica del Padrino, in mezzo ai profumi del ristorante mauriziano.

All together, così si fa.

Di un piccolo museo e del modo di sedersi

A gennaio ho visitato una casa museo, deliziosa e straordinaria, la Casa di Mario Praz, a Roma: https://www.casemuseoitalia.it/it/Museum.asp?POIID=13. Magistralmente spiegata, la consiglio a tutti.

E così ho, in un certo senso, incontrato l’amato autore di Gusto Neoclassico, poichè, come lui, credo che la casa è l’uomo, e che dalla casa si capisca l’uomo, se si sa guardare bene.

Rimpiango di non poter di lui leggere, perchè scritto troppo piccolo ormai per me, e non esiste in versione kindle, La filosofia dell’arredamento, del quale, da qualche parte on line, devo aver però carpito alcune delle osservazioni che seguono sull’evoluzione delle sedie, che, come tutto il mobilio, riflettono non solo il proprietario, ma la società cui appartiene, con tutte le sue norme.

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(Immagini prese dal web)

Una seduta come questa, del Settecento, ci dice cosa si pensava degli ospiti in visita, e cioè dì quello che devi dire e vattene. Relazioni fondate sulla brevitas, comunicazioni sintetiche e argute.

Non molto diverse le sedute nell’Ottocento, un filo più morbide in ossequio alla mentalità borghese, ma sempre visite brevi, un tè, un caffè, un biscottino, non di più, il messaggio è identico.

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E oggi? In un’età così apparentemente socievole, amante in teoria di discussioni democratiche e franchi scambi di opinioni che possono durare anche l’intera notte, si è arrivati a questo:

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La sbandierata accoglienza del divano è solo apparente, perchè nessun ospite sarà davvero a suo agio sul pizzo della penisola, nè oserà distendersi in essa. Il vero messaggio è Distendetevi davanti alla televisione, non parlate, ascoltate zitti e, appena possibile, addormentatevi buoni buoni. E appena questa tappezzeria sarà un po’ logora, comprate un’altro divano.

Ho sbagliato epoca, ne sono sempre più certa.

Correzione a Cronache d’Irlanda,4

Correzione/ integrazione al post precedente: in Italia esiste un monumento agli emigranti. Devo la segnalazione a QuasiBiancaneve : https://wordpress.com/read/blogs/61910712.

Si trova a Genova, ma è nascosto. Non riesco a postare il link. L’articolo è comunque su GenovaQuotidiana.com, numero del 18 Giugno 2019.

Peccato, mi piace. Quello svettare crestato sopra il blocco rettangolare dà in qualche modo l’idea del doloroso distacco dalla terra natale.

Cronache d’Irlanda,4

Nel cuore della City di Dublino, in mezzo agli affari, alle banche, ai soldi, gli irlandesi hanno voluto questo: https://www.google.com/search?q=famine+sculpture+dublin&client=firefox-b-d&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwiRzKHLvevjAhUiMuwKHYWJCEcQ_AUIEigC&biw=1220&bih=588#imgrc=jZTf4wWrQVUXiM:

Lungo le rive del Liffey, là dove chi era costretto ad andar via dalla Grande Fame (1845-49) si imbarcava per le lontane Americhe. Come a dire: ora siamo ricchi, ma ricordiamoci da dove siamo partiti. Ricordiamo le sofferenze antiche.

In Italia non c’è nessun monumento a chi partì dai porti di Genova e Palermo, per povertà anch’essi, alla volta delle lontane Americhe, alla fine dell’Ottocento. Sarà per questo che non usciamo dalla crisi?

Una tenera vecchietta

Alla fine di una mattina di shopping con uno dei Figli, mi si avvicina una vecchietta molto, molto old style, e mi chiede di aiutarla ad attraversare la strada, un corso molto trafficato.

Io le offro premurosa il braccio, lei sorride sotto un’alta cotonatura candida e profumata di Violetta di Parma, e ci avviamo. Mentre scambiamo due parole, noto che mio Figlio si serra a me, appiccicato al mio fianco. Chiacchiero e penso che forse quella tenera vecchina è una fata, intenta a mettermi alla prova, come nelle favole; e forse, quando saremo al di là della strada, riceverò una splendida ricompensa…
Arrivati sul marciapiede, lei accenna a una cura medica, chiede qualche soldo e sparisce. Appena mi rimetto dalla tristezza, chiedo a mio figlio perchè mi fosse stato così addosso. Risposta – Pensavo che ti rubasse il portafoglio-

Mai così distanti l’uno dall’altra, direi. E mi sento sempre più come mi vedono i Figli, tenera e ingenua come i cinquantenni su Internet. E’ proprio vero.