Dell’abitare

Due cose sulla casa, anzi sulla Casa, a seguito di una bella osservazione di Low Profile sull’odierno concetto di bellezza, asettica e impersonale. Le nostre case, o almeno le case più alla moda, le più desiderate dalla maggioranza, sono ipertecnologiche, minimaliste, efficienti, facili da pulire -superficie liscie, pochi oggetti, immagini astratte, nulla che induca non dico ricordi, ma neppure pensieri, riflessioni di alcun genere.

E’ il risultato di un dilemma che risale agli inizi del Novecento, quando Gaudi costruì Casa Milà

Da Wikipedia, s.v., come le successive

Nessuna ringhiera, nessuna stanza uguale all’altra; ferma restando la posizione dei servizi, che si affacciano su due chiostrine interne, non vi sono due appartementi uguali. La casa come antitesi dell’alveare, pur in un grande condominio.

Negli stessi anni, a Vienna Loos getta le basi del nuovo funzionalismo che ancor ci flagella. Une sempio è villa Muller a Praga

Per Loos, in polemica con il Liberty che imperversava, l’ornamentazione è un delitto, tutto deve essere funzionale, la bellezza deve scaturire dalla bellezza dei materiali usati. Se si pensa a certi eccessi del Liberty, forse può essere sembrata una liberazione, ma lo step successivo è Ville Savoye di le Corbusier

Le Corbusier inventa ed applica qui i 5 punti dell’architettura, sfruttando le possibilità offerte dal cemento armato: pilotis, finestre a nastro, pianta libera, facciata libera, tetto giardino. Anni dopo, si spinse a invitare gli abitanti delle sue opere a buttare tutto – quadri, mobili, tende, tappeti, ninnoli. Il miraggio di una casa che si pulisce col tubo del giardino e la felicità di Marie Kondo, immagino. L’intento era buono, perché mirava a far risparmiare tempo alla gente, ma il risultato è stata la casa come macchina per abitare. Cioè, la nostra.

Con tutto ciò, amo il Funzionalismo, che ha fatto grandi cose, ma ora si è arrivati al punto, che di certo i padri fondatori del movimento non avrebbero mai voluto, che tra la scuola, l’ospedale e il crematorio non c’è più alcuna differenza architettonica, nessun modo di riconoscere a primo impatto proprio la funzione dell’edificio, tutto annichilito in un’uniformità asettica e agghiacciante. E non amo la casa ipertecnologica. Ho amici che chiedono ad Alexa anche di alzare le serrande. Ragazzi, andate incontro a un decadimento muscolare. Non ci sono palestre che bastino quando si rinuncia al movimento nel quotidiano.

Ma io sono molto, molto antica.

Decadenza

Il fallimento di questa estate non è dovuto solo al mio stato interiore, ai 48 gradi per dieci giorni, ai black out che rendevano inutili i condizionatori. No, perchè sono riuscita a fuggire; e alla fine della fuga ho trovato:

  • città uccise dagli air bnb che costano molto più degli alberghi (provate, provate a confrontare i prezzi, soprattutto a Roma e nelle grandi città d’arte), senza più abitanti, senza bar che aprano presto al mattino, perché tanto non ci sono più lavoratori, solo turisti che prima delle nove non spuntano
  • restauri che trasformano le città in Disneyland, come qualche decennio fa in Francia, patria del restauro interpretativo. Va bene consolidare e preservare, ma eliminare con perseveranza la patina da pietre e legni, eliminare quella tinta che solo il tempo può dare e che racconta una storia , equivale alla chirurgia estetica su labbra, seni e glutei, rende tutto uguale. Città italiane divenute il fondale di un cartone animato.
  • musei e luoghi che sono il sublime distillato culturale di secoli e secoli percorsi a passo di marcia da schiere di persone in cerca di emozioni che solo il silenzio e la sosta possono dare

Datemi piuttosto lo sfascio di Napoli e Palermo, i panni stesi nelle strade strette, l’odore di frittura sopra un muro antico, i ragazzini che si sentono grandi su lambrette smarmittate.

L’anno prossimo, se Dio mi dà la salute, vado solo dal Cairo in giù.

Città, 2: Firenze

La perfezione, cesellata e ben tornita. L’arte che è conoscenza, fondata sulla matematica -quando, come direbbe il maestro Battiato, fede e ragione non erano contrapposte. La bellezza che nasce dall’asimmetria, la Loggia non in asse con la via principale, il Duomo leggermente di sghimbescio, come estraneo, uno splendido alieno da un lontano pianeta. Una chiarezza sublime, accecante, un faro nella notte della contemporaneità, così incline all’effusione di emozioni che spesso andrebbero taciute, transitorie come sono.

Non me ne vogliano, gli amici toscani, di quanto segue. Firenze vive del passato, gelosamente, tenacemente preservato, accudito, rispettato. Qui, storici dell’arte e restauratori sono plenipotenziari. Non un panno steso, un odore di cucinato, una tinta sbagliata nelle facciate. Troppo perfetta, congelata nell’ammirazione di ciò che fu, succube di un senso d’inferiorità rispetto al passato che sembra tuonare alle nuove generazioni: Non fate niente, non toccate niente! Tutto è stato già fatto e davanti ad esso cadete in ginocchio, adesso, subito!

La cupola di Brunelleschi, intanto,continua a svettare indifferente alla paralisi odierna, riscatta la città intera dalla posizione affossata, orienta oggi come allora.

Un piacevole incontro

Davvero un piacevole incontro, verso le nove di stamattina. Un vecchietto che non avevo più visto dai tempi del lock down, un novantenne di quelli scolpiti nella roccia. Stava seduto fuori da una gastronomia marinara, una di quelle di qui, vicino al mare, che cucina pesce dall’alba a mezzanotte.

Arrampicato su un alto sgabello, spremeva limone sulle ostriche, godendosi il primo sole fresco di questo strano ottobre. Nemmeno il Covid l’ha abbattuto, fantastico.

L’ho salutato contenta con un cenno del capo. Davvero, la fine della pandemia.

Che cosa resterà di noi

Breve riflessione di natura archeologica sul destino della nostra cultura materiale:
del passato abbiamo tutto. Ma proprio tutto, tranne le stoffe, il legno, il cuoio e la carta, i materiali cioè più soggetti all’umidità tipica del clima europeo; in Egitto si conservano anche questi. Abbiamo rovine immani, statue, case, canali, frantoi e mulini, ossa, vasi pregiati e vasi poverissimi, gioielli e arnesi da lavoro. Usavano per lo più argilla e metalli e quindi ricostruiamo la vita quotidiana di tutte le classi sociali, o siamo in grado di farlo. Grazie alle analisi chimico-fisiche sappiamo le abitudini alimentari, lo stato di salute generale e l’aspettativa di vita media.

Di noi invece che cosa resterà, cosa troveranno gli archeologi del futuro, ammesso che ve ne siano? Il cemento armato sotto terra non durerà, potrà lasciare appena una polvere biancastra e un poco di ruggine; la plastica invecchia già mentre la usiamo, e in modo orrendo, con tutti quei micro graffi, l’ingiallimento dovuto alla luce; statue non ne usiamo più e nemmeno quadri; nemmeno i libri abbiamo più, né le foto, tutto ormai su cellulare o tablet, che non dureranno, essendo appunto di plastica e metalli per lo più corrodibili. Di plastica ormai anche i vestiti, si disfaranno in poltiglia anche nel cilma egiziano.

Insomma nel futuro si faranno di noi l’idea che mangiavamo ( piatti di ceramica e pentole resisteranno) e mangiavamo bene (analisi delle ossa e dei denti); che abitavamo sugli alberi,oppure in automobile o lungo le scogliere; che avevamo una scienza medica incredibilmente avanzata ( protesi dentarie, operazioni chirurgiche varie) a fronte di un’architettura e una cultura artistica e letteraria terra terra. Un dislivello che renderà un unicum nell’antropologia di tutti i tempi.

La cultura artistico-letteraria si smaterializza, Platone sarà felice.

Soccorso

I numeri della mia regione fanno paura. Sento il virus col fiato sul collo. Muoiono nelle case vicine.

Poi, durante una passeggiata col cane, c’è l’airone candido nell’acqua sporca e la palma che cresce quasi senza terra, nonostante tutto. Una specie di colomba di Noè -il mondo in un lampo torna ad essere un posto meraviglioso e deporre le preoccupazioni, anche per un solo istante, è un sollievo straordinario. Rientro con un sentimento di gratitudine.

Spigolature minime sulla bellezza, 4 (e ultimo)

Dunque la bellezza è potente; unitiva; non è assialità e simmetria; deve ricordare noi stessi a noi stessi. Di tutto questo possiamo discutere a lungo.

La cosa più tremendamente vera sulla bellezza che ho letto, nelle mie letture disordinate, è di uno psicologo canadese morto da pochi anni, James Hillmann. Nel libro Politica della bellezza (https://morettievitali.it/?libri=politica-della-bellezza) sostiene che molti dei nostri disagi psicologici, molte depressioni e angosce, derivano dall’assenza di bellezza nei luoghi in cui viviamo. La bellezza come cura, o come prevenzione. Noi nati per la bellezza, la cui assenza fa ammalare. I soffitti bianchi delle nostre case sono innaturali, nella migliore delle ipotesi. Un tempo si affrescavano con simboli religiosi, o cosmologici, che davano a ciascuno la percezione di essere inseriti in un ordine più vasto del singolo. Cosa che filtrava, in qualche modo, anche a chi non poteva permettersi soffitti affrescati.

In effetti, in un posto bello, non stiamo tutti meglio? Anche per parlare d’amore… https://www.youtube.com/watch?v=lwWY2Ee_MA8

Spigolature minime sulla bellezza, 3

Zevi scrive saggiamente che la simmetria e l’assialità distruggono l’arte. L’ideale è un’architettura di percorso, che si adegui al movimento degli uomini e all’uso che questi fanno dello spazio.

Verissimo. Speer, nei suoi piani per Berlino, progetta una città in cui i principi di assialità e simmetria sono condotti al punto tale da risultare agghiaccianti: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bundesarchiv_Bild_146III-373,Modell_der_Neugestaltung_Berlins(%22Germania%22).jpg. E nelle nostre città, file di edifici tutti uguali, non differenziati in base all’uso, tali che la prigione, l’ospedale, la scuola e il cimitero risultano identici ai condomini.

Hitler è entusiasta dei piani di Speer, che si ispirano a piani napoleonici. Non sapeva, non poteva cogliere l’irregolarità meravigliosa del Foro Romano, che nella sua visita del ’38 aveva pur visto ( e mia madre ricordava con quale faccia truce e invidiosa fosse passato nei Fori gremiti di gente e illuminati da torce come nei tempi antichi; pensava a quanto Roma fosse più bella di Berlino).

Ma la bellezza è altra cosa. Non è regolarità, né simmetria. Nell’Acropoli di Atene il Partenone e l’Eretteo non sono in asse con i Propilei. Chi entra ha davanti a sé il vuoto e deve cercare, scoprire quasi, gli edifici. Perchè ci sono luoghi che non si possono toccare e questo ha a che fare con la percezione del mito, qualunque esso sia. Qui Poseidone scagliò il tridente contro Athena che offriva all’Attica l’olivo – questo non può toccarsi, l’Eretteo sorgerà qui. Qui sorgeva il primo tempio di Athena -lo rifaremo qui, dove sorgeva prima, nulla conta che i Persiani l’abbiano devastato.

Crolla la città di Catania per intero durante il terremoto del 1693, ma restano in piedi le absidi che contengono le ossa di Sant’Agata -non le toccheremo, la nuova Cattedrale sorgerà da queste absidi.

Ma noi non abbiamo più, o non vogliamo averle, radici mitologiche e quindi costruiamo quello costruiamo, roba degna solo di oblio.

Spigolature minime sulla bellezza, 2

Riferisco a memoria di letture lontane, stavolta di psicologia dell’estetica. Non cosa è bello in sé, ma perchè ci sembra bello quello che ci sembra bello.

Perchè ci piacciono il Partenone e le opere di Piero della Francesca? Perchè le proporzioni della sezione aurea, (il segmento minore sta al maggiore, come il maggiore sta all’intero, detto in maniera bruta) sono quelle del corpo umano.

E cerchiamo nei volti occhi grandi, fronte alta e denti regolari perchè sono quanto di più distante esista dai musi dei felini che predavavano i nostri antenati ominidi nella savana africana. Così, a colpo d’occhio, potevano distinguere subito che non era un predatore quello che balenava nel cespuglio.

In pratica, ci piace ciò che ricorda a noi stessi come siamo. Ma allora Mondrian? Kandisnky?