Decadenza

Il fallimento di questa estate non è dovuto solo al mio stato interiore, ai 48 gradi per dieci giorni, ai black out che rendevano inutili i condizionatori. No, perchè sono riuscita a fuggire; e alla fine della fuga ho trovato:

  • città uccise dagli air bnb che costano molto più degli alberghi (provate, provate a confrontare i prezzi, soprattutto a Roma e nelle grandi città d’arte), senza più abitanti, senza bar che aprano presto al mattino, perché tanto non ci sono più lavoratori, solo turisti che prima delle nove non spuntano
  • restauri che trasformano le città in Disneyland, come qualche decennio fa in Francia, patria del restauro interpretativo. Va bene consolidare e preservare, ma eliminare con perseveranza la patina da pietre e legni, eliminare quella tinta che solo il tempo può dare e che racconta una storia , equivale alla chirurgia estetica su labbra, seni e glutei, rende tutto uguale. Città italiane divenute il fondale di un cartone animato.
  • musei e luoghi che sono il sublime distillato culturale di secoli e secoli percorsi a passo di marcia da schiere di persone in cerca di emozioni che solo il silenzio e la sosta possono dare

Datemi piuttosto lo sfascio di Napoli e Palermo, i panni stesi nelle strade strette, l’odore di frittura sopra un muro antico, i ragazzini che si sentono grandi su lambrette smarmittate.

L’anno prossimo, se Dio mi dà la salute, vado solo dal Cairo in giù.

Città, 4: Napoli

Delle sue plebi preistoriche hanno già scritto, magistralmente, Malaparte e la Ortese -nulla da aggiungere. E nulla di nuovo per chi giunge dalla Sicilia, se non un particolare trasalimento, come di trovarsi davanti a una madre misconosciuta, in cui si conosce sé stessi.

Sentirsi a casa, questa la sensazione dominante nell’unica città al mondo nella quale ho pensato Non voglio più partire e non sapevo spiegare a me stessa perché.

Lascio la parola a Muratov, inizi ‘900: la folla parigina è sempre guidata da una sorta di recondita urgenza, e nella tensione stessa del suo andirivieni si percepisce sempre una componente d’inerzia e ripetitività in cui si cela un’enorme stanchezza, forse addirittura una certa nausea della vita. Se si vuole davvero vedere una folla davvero traboccante di istintiva, spensierata e superstiziosa gioia di vivere, bisogna passeggiare per la via principale di Napoli, la famosa via Toledo. Da mattina fino a sera inoltrata, i suoi marciapiedi stretti e fangosi sono invasi da persone capaci di godere della mera consapevolezza di trovarsi al mondo. Nessuno ha fretta di andare da qualche parte, ma insieme nessuno ammazza il tempo con esasperante indifferenza.

Verissimo, ma non solo questo. Nella marea umana, nei milioni di storie che grondano dai muri di Napoli, nelle vite urlate, vendute, offerte al passante, cresce una finezza, un’umanità che non germina altrove. In quale altro luogo poteva darsi l’immagine di Cristo nel sepolcro, serrato in uno spasimo atroce dalla morte e che pure offre il sudario che nella narice viene aspirato?La vita che torna prepotente, signora. La vita che Napoli ama e coltiva in sommo grado.

Napoli, Cappella Sansevero

Città, 3: ancora su Venezia

da Wikipedia, s.v.

Di Venezia, la mia Venezia, che ho visitato così spesso prima dell’over tourism, amo le tinte: grigio, rosa azzurro, intrecciate tra loro in modo così magistrale da annullare ogni tinta forte. Se anche fosse pavesata di rosso e giallo ad ogni finestra, Venezia annullerebbe questi colori con la sola forza dei suoi accordi cromatici delicati.

Delicatezza anche delle architetture, che non si innalzano mai per non gravare troppo in un punto solo degli isolotti sabbiosi sui quali è costruita. I trafori alleggeriscono anche visivamente l’equilibrio delle masse, concorrono all’accordo cromatico.

Dei veneziani amo la capacità di adattarsi, di reinventarsi, duttili e flessibili come l’acqua che li ha difesi dai barbari alla fine dell’età romana.

Quando, nel Cinquecento, capirono che ormai con i commerci era finita perché dominavano le rotte atlantiche, si trasformarono in proprietari terrieri, senza rimpianti, e questo portò a una rivoluzione nel modo di abitare che è giunta fino a noi. Possedendo più residenze, commissionarono più tele che affreschi, perché le tele si possono spostare da una dimora all’altra, a differenza delle decorazioni parietali, che implicano la certezza che la famiglia vivrà per sempre in quel luogo.

Inizia Giorgione, con tele misteriose che usano quella fusione di tinte di cui ho scritto sopra. Pittura sanza disegno, scrivevano ai tempi. I fiorentini prima disegnavano, poi coloravano; prima pensavano, perché il disegno è astrazione, non esistendo linee in natura. I pittori veneziani no, prima coloravano, perché la realtà si offre ai nostri occhi come macchie di colore e rapporto tra tinte; erano empirici, prima vivevano, poi riflettevano sul dato empirico. Il risultato siamo noi.

Città, 3: Venezia

Ecco, si commenta da sé: https://www.vanityfair.it/article/venezia-overtourism-turismo?utm_source=pocket-newtab-bff

Aggiungo solo che ho mangiato malissimo a prezzi folli. I veneziani sapranno dove andare a mangiare, il problema è che non ci sono quasi più veneziani…Aggiungo anche che ormai gli alberghi convengono rispetto agli Air Bnb, e non solo a Venezia. Il turismo si autoeliminerà divorando lo scopo del viaggio.

Città, 2: Firenze

La perfezione, cesellata e ben tornita. L’arte che è conoscenza, fondata sulla matematica -quando, come direbbe il maestro Battiato, fede e ragione non erano contrapposte. La bellezza che nasce dall’asimmetria, la Loggia non in asse con la via principale, il Duomo leggermente di sghimbescio, come estraneo, uno splendido alieno da un lontano pianeta. Una chiarezza sublime, accecante, un faro nella notte della contemporaneità, così incline all’effusione di emozioni che spesso andrebbero taciute, transitorie come sono.

Non me ne vogliano, gli amici toscani, di quanto segue. Firenze vive del passato, gelosamente, tenacemente preservato, accudito, rispettato. Qui, storici dell’arte e restauratori sono plenipotenziari. Non un panno steso, un odore di cucinato, una tinta sbagliata nelle facciate. Troppo perfetta, congelata nell’ammirazione di ciò che fu, succube di un senso d’inferiorità rispetto al passato che sembra tuonare alle nuove generazioni: Non fate niente, non toccate niente! Tutto è stato già fatto e davanti ad esso cadete in ginocchio, adesso, subito!

La cupola di Brunelleschi, intanto,continua a svettare indifferente alla paralisi odierna, riscatta la città intera dalla posizione affossata, orienta oggi come allora.

Città, 1: Roma

Di Roma la grande, dell’alta Roma virgiliana, resta poco, qualche frammento che lampeggia e mi inchioda – la luce che entra nel Pantheon a mezzogiorno ( e il giorno del natale di Roma ,a mezzogiorno, il fascio di luce colpiva l’imperatore che entrava a compiere il rito); la Saturnia Tellus e l’Ara Pacis, ipocrita e splendida; l’arena scoperchiata del Colosseo e i suoi archi che si offrono estranei e maestosi al termine della scala mobile delal metro, linea B, fermata Colosseo (se si sta attenti si avvertono, lontani, i clamori della plebe sulle gradinate).

Tutto il resto è concrezione fantastica, di mondi che crescono su altri mondi e crollano esausti su sé stessi: i tre livelli di San Clemente – mitreo, chiesa paleocristiana, chiesa medievale; il teatro di Marcello e torre delle Milizie. Sanpietrini dissestati, la tinta rosso Siena delle facciate, una tinta sontuosa che c’è solo qui ed entra a gara con i tramonti trionfali sul Tevere e l’abbraccio di Piazza San Pietro, magistrale visualizzazione del verso dantesco: l‘Amor che per lo mondo si squaderna.

Nemmeno la gelida architettura mussoliniana, neppure l’apertura di via della Conciliazione, hanno potuto cancellare tutto questo. Muratov, autore di bellissimi volumi sull’Italia editi, al principio del secolo scorso e responsabili di molti viaggi in Italia dei suoi connazionali, osserva che Roma ha la forza, e la bellezza, di smorzare, annullare e infine incorporare in sé ogni moderno scempio, ed è vero.

Qui tutto è sepolcro, scrive, ma la morte ha abitato qui tanto a lungo, che questa sua dimora, la più antica e la più regale, è divenuta infine la dimora stessa dell’immortalità.

Passano ere e condottieri gloriosi, popoli e storie, ma questa stella è ancora Roma: https://www.youtube.com/watch?v=YHd6-hAjg1I

Tre bellissimi inviti

  1. Dalla Persia del XIII secolo, sulla dargah di Gialal al Din-Rumi:

«Vieni, vieni; chiunque tu sia, vieni.
Sei un pagano, un idolatra, un ateo? Vieni!
La nostra casa non è un luogo di disperazione,
e anche se hai tradito cento volte una promessa… vieni
.[2]» (da Wikipedia, s.v. Gialal al-Din-Rumi, teologo sunnita)

2. Dalla Regola non bollata di San Francesco d’Assisi:

E chiunque verrà, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà.

3. Da un pub della mia amatassima Irlanda, e pare sia di Yeats:

Indignation Quotes. QuotesGram
Da Quotesgram

Coronavirus 9: Ottantenni (vietati commenti politici perchè non è un post politico)

Se è vera la notizia che un presentatore olandese ha deplorato le terapie fornite contro il Coronavirus ad ottantenni obesi e fumatori che fra due anni potrebbero essere morti (http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/coronavirus-presentatore-tv-olandese-kelder-inutile-salvare-anziani-obesi-e-fumatori-moriranno-entro-2-anni-be237ed4-1830-4afb-b651-67a30f5a1759.html), ci sono molte, moltissime considerazioni da fare. Di seguito, alcune di esse:

  1. Fra due anni potrebbero essere morti anche sessantenni, cinquantenni, quarantenni. Meglio non curare più nessuno?
  2. Max Weber aveva connesso la genesi del capitalismo alla religione protestante , che riteneva la floridezza economica prova certa di un benigno giudizio divino di salvezza. Così, nell’Europa del Nord, la spinta ad accumulare capitali fu, e rimane ancor oggi,  molto più forte che nell’Europa meridionale, dove la Chiesa Cattolica ha come modello (non sempre seguito) San Francesco . Una differenza di mentalità di lunga durata, che genera quel che a Sud viene giudicato un incrudelimento del capitalismo.
  3. Quando si sposta un paletto morale, chiamiamolo così, è molto difficile stabilire un nuovo punto in cui fissarlo. Se oggi mi sembra inutile, ed economicamente dannoso, curare gli anziani, e procedo a non farlo, domani potrò decidere di non curare i trentenni, i biondi, le persone che non mi piacciono.  O si curano tutti o nessuno.
  4. Picasso_Guernica-2000x1200
  5. Questo lo aveva ben capito Picasso. In Guernica la statua in frammenti del guerriero antico con la daga spezzata in mano è la fine dell’antico modo di combattere, basato su una qualche forma di codice etico (non si colpiscono donne e bambini, se l’avversario scende da cavallo scendi anche tu per essere alla pari ecc…).E il guerriero soggiace alla lampadina elettrica, simbolo del progresso che ha portato solo morte. Non è il ricordo di un singolo bombardamento, sia pur grave, ma l’annuncio che da quel momento in poi tutto sarà possibile in virtù dell’abbattimento di un cardine morale, che non si uccidono i civili e i disarmati. Sette anni soli separano Guernica da Hiroshima.